“Fatti mandare dalla mamma a prendere il la-attee”, cantava tanti anni fa Gianni Morandi per dare appuntamento alla sua bella. Ma oggi? Le latterie sotto casa non ci sono quasi più, e il latte si vende in un mucchio di posti. Al super, oppure nel negozio bio, o magari direttamente dal produttore, e si può persino farlo arrivare a casa…  I tempi sono cambiati, e, con buona pace degli innamorati, quella della spesa sana è diventata una vera e propria arte…

L’ARTE DI FARE LA SPESA

È vero, ormai i negozi sotto casa – quelli che la legge chiama “negozi di vicinato” – sono una rarità: qualche salumeria, un fruttivendolo qua e là, qualche panificio, magari una macelleria…  E non è solo la grande distribuzione l’unica spina nel fianco del dettaglio tradizionale: tra farmers’ market, gruppi di acquisto, catene specializzate e vendita online, la scelta del “dove fare la spesa” si è allargata a dismisura. Una situazione che, a ben vedere, per i consumatori rappresenta una grande opportunità per orientare più consapevolmente le proprie scelte. Ogni opzione, infatti, può avere particolari punti di forza per chi li voglia sfruttare, all’insegna di risparmio, salute, qualità e gusto.

La grande distribuzione: il supermercato

Partiamo dal supermercato, che per il cibo identifica ancora il prototipo del punto vendita di grande distribuzione, e rimane il luogo della spesa preferito dalla maggior parte delle persone. Il primo in Italia comparve a Milano nel 1957, introducendo due concetti assolutamente innovativi rispetto ai negozi tradizionali:

  • offrire un assortimento di prodotti ampio in uno spazio unico, in modo da non dover girare tutto il quartiere per fare la spesa.
  • dare la possibilità di risparmiare rinunciando alla comodità di essere serviti e introducendo il self service: prendere da soli i prodotti dagli scaffali, sistemarli nel carrello e pagare poi alla cassa.  

Queste due sono rimaste nel tempo le caratteristiche peculiari del supermercato, che però è stato oggetto di una continua evoluzione nel rapporto con i fornitori e con i clienti. In particolare, tre elementi di successo hanno segnato questa evoluzione:

  • L’introduzione del fresco prima nei banchi di salumeria, ortofrutta e panetteria, e poi esteso anche a carne e pesce: un colpo micidiale per i negozi tradizionali.
  • La nascita delle “private label”, cioè di quei prodotti a marca privata che riportano il marchio del supermercato che li distribuisce. Le grandi marche, che nel passato la facevano da padrone, devono fare i conti con la possibilità di trovare sul mercato prodotti dello stesso livello che, pur senza contare sul potere suggestivo di un brand storico e riconosciuto, riescono a soddisfare bene i bisogni del consumatore.

La segmentazione dell’offerta: alcune private label differenziano la loro proposta su diversi livelli di qualità (si pensi per esempio a COOP che col suo marchio propone eccellenze nella linea “Fior fiore”, piuttosto che a Esselunga che differenzia il suo meglio nella linea TOP). Ma la segmentazione dell’offerta ha assunto negli ultimi anni tratti diversi anche in risposta all’attenzione dei consumatori verso particolare tipologia di prodotto. Due filoni sembrano essersi imposti su tutti: quello dei prodotti tipici e quello del BIO.

Il tipico al super

Il trend crescente dei prodotti tipici e a marchio DOP (Denominazione d’Origine Protetta) o IGP (Indicazione Geografica Protetta) ha spinto molte catene di supermercati a inserire nel loro assortimento vere e proprie rarità gastronomiche, scelte tra i frutti migliori della nostra tradizione regionale. Olive Bella di Cerignola, Salame con pistacchi di Bronte, Casera della Valtellina DOP, autentico Tonno di tonnara, Biscotti di Fonni, Baci di dama delle Langhe … è solo un piccolo esempio di cosa può uscire dai sacchetti della spesa di chi si avventuri, con un minimo di attenzione, nei supermercati più forniti. E ogni catena ha trovato un suo modo per coniugare la propria immagine con l’offerta dei nostri prodotti tipici: alcuni operatori hanno deciso per il lancio di linee selezionate a proprio marchio, evidenziandone la posizione sul punto vendita per favorirne l’individuazione da parte dei clienti (si pensi per esempio alla linea Sapori&Dintorni  di Conad, o alla selezione I Sapori delle regioni di Simply, ai prodotti de il Viaggiator Goloso di U2), mentre altri operatori  hanno sposato invece una filosofia diversa puntando sulla promozione degli alimenti tipici, offerti con il solo marchio del produttore ma dando loro un risalto particolare attraverso specifici accorgimenti nell’esposizione e azioni sul territorio (banchi dedicati, appuntamenti a tema, settimane promozionali…  ).

Il BIO al super

Anche per quanto riguarda il settore del biologico, anch’esso in crescita, i supermercati sono diventati un riferimento importante. Alcuni integrano linee specifiche a marchio proprio (per esempio Pam Panorama offre una propria gamma di prodotti Bío molto diversificata), tutti comunque riservano un’attenzione particolare alla proposta di alimenti biologici. È da osservare che, in particolare per quello che riguarda i prodotti a marchio proprio, l’ingresso della grande distribuzione nel settore Bío ha contribuito positivamente alla sua crescita sotto due punti di vista: prima di tutto i prodotti Bío proposti con marchio proprio sono estremamente controllati (il super dà garanzie di vendita ai coltivatori, ma pretende il rigoroso rispetto dei disciplinari previsti), in secondo luogo il Bío al supermercato costa generalmente meno di quello che si acquista nei negozi.

I pro e i contro dell’acquistare al supermercato

I pro

  • la possibilità di concentrare la spesa in un unico punto vendita
  • La scelta: al super si trova tutto.
  • il risparmio, che rende più accessibile anche il consumo di prodotti costosi come quelli biologici e tipici.
  • Le commodity: carte fedeltà, servizi di consegna a domicilio… il super rende anche la vita più semplice

I contro

  • La mancanza di assistenza nella scelta. È sempre stato il punto debole della formula self service e continua ad esserlo: di fronte a una scelta ampia nessuno dà spiegazioni e consigli.
  • Il rischio di esagerare: l’abbondanza dell’offerta implica il rischio di eccedere negli acquisti oltre l’effettivo bisogno. Del resto l’acquisto cosiddetto “d’impulso” (non programmato) costituisce una parte rilevante di ciò che finisce nel carrello.

I “Super” del Bio

Se un problema si può riscontrare nel cercare il bio al super, è nel fatto di avere spesso una scelta piuttosto limitata. Se l’esigenza è quella del bio a largo raggio, che spazi dalla frutta, ai formaggi, ai dolci e a quant’altro si possa riporre in frigo o in dispensa, una soluzione interessante può venire dalle catene specializzate che trattano solo prodotti biologici: Almaverde Bio market, Naturasì, Piacere Terra, sono alcune tra le più note e tra quelle che, in virtù delle loro dimensioni, riescono anche a mantenere prezzi ragionevoli.

I nuovi hard discount

Se il primo super comparve da noi alla fine degli anni ’50, il primo hard discount, “importato” dalla Germania, è arrivato nel 1992 … L’idea era una sola: mantenere il più possibile i vantaggi del super, ma forzando al massimo l’attenzione al risparmio. In pratica proporre prodotti a prezzi “stracciati” garantendo comunque la possibilità di fare una spesa praticamente completa. In che modo? Puntando sull’essenzialità e rinunciando a una serie di servizi e comodità che i super offrono insieme ai prodotti. In un certo senso si può dire che l’arrivo dei discount abbia rappresentato per i supermercati quello che, nel campo dei trasporti aerei, è stata la nascita dei voli low cost per le compagnie di bandiera. E se per un po’ di anni super e hard sono rimasti così diversi da convivere senza darsi troppo fastidio (l’hard era considerata una scelta di ripiego decisamente poco “in”…), la crisi ha modificato un po’ il panorama delle cose… Oggi a tutti fa comodo risparmiare e la differenza tra super e hard si è fatta più sfumata: da un lato i supermercati hanno introdotto molte possibilità per spendere meno, dall’altro gli hard discount hanno  mostrato un’attenzione sempre maggiore alla qualità e al servizio… Morale: come scegliere tra gli uni e gli altri?

I pro e i contro dell’acquistare all’hard discount

I “PRO”

  • I prezzi. Fare la spesa all’hard discount anziché comperare al super i prodotti di marca nota, permette di risparmiare anche più del 50%. Ma, con un po’ di accortezza, anche al super si può spendere poco: i prodotti a marchio proprio costano mediamente un 30% in meno, e i cosiddetti “primo prezzo” arrivano anche al 40%.
  • La qualità. Non c’è da stupirsi: molto spesso il discount si rifornisce dalle stesse industrie che fabbricano i prodotti di marca. E queste industrie, altrettanto spesso, preferiscono mantenere gli stessi processi di produzione perché costerebbe di più modificarli in linee differenti. Il risultato è che anche al discount si possono trovare prodotti eccellenti, solo con un nome diverso. Del resto, rispetto alla miriade di insegne discount nate nei primi anni ’90, le poche catene che sono rimaste e hanno successo sono proprio quelle che hanno avuto la capacità di mantenere alti livelli di qualità, risparmiando invece sugli elementi di servizio.

I “CONTRO”

  • La scelta. Nell’hard discount, la scelta è decisamente più ridotta perché punta su un assortimento “ampio” ma poco “profondo”, vale a dire che trovi un po’ di tutto, dalla pasta, al pane, al formaggio, ai surgelati, ma di ciascun prodotto puoi scegliere tra poche marche, a volte addirittura una sola…  Spesso, poi, non ci sono linee dedicate al tipico e al bio, come invece succede al super.
  • I servizi “accessori”. Nei discount, con pochissime eccezioni, sono assenti le carte promozione/fedeltà, che nei super danno diritto a sevizi diversi come sconti e raccolte punti. I punti vendita hard discount sono allestiti in modo molto più spartano e meno curato rispetto ai super.  Anche le dimensioni dei punti vendita possono differire: spesso gli hard discount sono piccoli in modo da ridurre i costi della struttura (manutenzione, spese di esercizio, affitto o acquisto…). In genere il numero di casse aperte negli hard discount è più ridotto ed è richiesto un maggior tempo di attesa per il pagamento.
  • Il fresco. Tra gli elementi importanti di servizio, la proposta del fresco ha un ruolo di primo piano e la tendenza a proporlo si sta estendendo anche negli hard discount, nei quali sono sempre più presenti nell’ordine: frutta e verdura, pane, carne e pollame. In genere, però, manca il pesce.

I “super” per gourmet, l’esempio di Eataly

 

Da inserire nel settore della grande distribuzione per i volumi che tratta e per le modalità di servizio, luoghi come Eataly si configurano un po’ come dei supermercati per gourmet. Tutta la loro proposta è caratterizzata dal posizionarsi su un piano di qualità alto con riferimento a diversi aspetti, primi tra tutti il gusto e la tipicità. I prezzi non corrispondono evidentemente a quelli medi dei supermercati, ma quello che si paga è una selezione preventiva e la possibilità di vedere concentrata un’ampia offerta di prodotti di alta gamma in un unico punto vendita. Detto questo, il diffondersi di questa forma distributiva è stata oggetto di diverse riflessioni critiche in ordine anche al rapporto tra distributori e produttori, questi ultimi non sempre adeguatamente tutelati (in contraddizione con quello che dovrebbe essere lo spirito animatore di queste forme di vendita). Di qui anche il progressivo spostamento dall’attività di vendita-prodotto a quella di ristorazione: oggi molti punti vendita appartenenti alla catena Eataly si configurano più come posti dove andare a mangiare che luoghi dove acquistare per il consumo casalingo, a dimostrazione che non può essere questa una scelta di lungo respiro per incidere davvero sul quotidiano delle persone.

Le alternative alla grande distribuzione

Analizzando pro e contro di supermercati e hard discount, potrebbe sembrare che quella della grande distribuzione sia una scelta obbligata, vincente nell’accordare qualità e prezzo. In realtà è importante riflettere su un aspetto: la qualità dei prodotti dipende molto dalle materie prime e dal modo in cui si lavorano, ma quanti dei soldi che spendiamo arrivano poi ai coltivatori e alle aziende produttrici? C’è da stupirsi: secondo dati Federalimentare, su 100 euro che spendiamo ben 49 vanno alla distribuzione, 11 all’industria di trasformazione e solo 8 a chi coltiva (il resto compensa costi di energia, servizi, altre industrie ecc.). Ecco allora che emerge il vero limite dell’orientarsi unicamente sulla grande distribuzione: la scarsa sostenibilità sociale.

Oggi non possiamo più identificare la nostra idea di qualità del cibo semplicemente nei requisiti della sicurezza, del gusto e del valore nutritivo, ma dobbiamo estenderla anche a ciò che riguarda l’impatto ambientale e ai criteri etici che regolano il rapporto tra chi produce e chi consuma. In altre parole, le nostre scelte d’acquisto non devono tener conto soltanto del nostro benessere, ma anche di quello dell’ambiente e di chi lavora per metterci a disposizione i prodotti che acquistiamo.

È su queste idee che si sono strutturati circuiti alternativi a quelli della grande distribuzione, particolarmente attenti agli aspetti valoriali.

Attacchiamoci al Gas

Cioè a un Gruppo di Acquisto Solidale. Praticamente si tratta di un insieme di persone che decidono di incontrarsi e mettersi d’accordo per comperare all’ingrosso prodotti alimentari e non, da ridistribuire poi tra loro. L’unione fa la forza, non è una novità, e in effetti quella dei gruppi d’acquisto è una forma organizzativa che esiste da parecchi anni. Oggi, però, assume un significato particolare nei GAS, dove si utilizza il concetto di solidarietà come criterio guida nelle scelte del gruppo. Cosa significa solidarietà nel consumo? Significa non cercare soltanto il risparmio economico (che comunque si realizza), ma improntare tutto il proprio comportamento di consumatori a una concezione più umana dell’economia, più vicina alle esigenze reali dell’uomo e dell’ambiente. I pilastri fondamentali dei GAS? Eccoli:

  • Si preferiscono i prodotti locali.
  • Si scelgono piccoli produttori.
  • Si comprano di preferenza prodotti biologici certificati.
  • Si fa attenzione alle condizioni di lavoro di chi produce.

Uno dei vantaggi maggiori della formula dei GAS è quello di poter prendere contatto diretto con la produzione, in particolare con le piccole aziende che, generalmente, sono più aperte al confronto con i consumatori. Andando a visitare direttamente le aziende, parlando con i titolari, discutendo della qualità dei prodotti e dei prezzi, si creano le condizioni ideali per instaurare rapporti di fiducia tra chi produce e chi acquista. Con i GAS, il produttore finisce per partecipare attivamente a quel progetto di qualità che è alla base dell’associazione.

Le botteghe del circuito equo e solidale

La sopravvivenza di milioni di contadini e artigiani del Sud del mondo dipende da quanto vengono loro pagati il caffè, il tè, il cacao e i manufatti che producono per essere esportati nei paesi occidentali. Anche questo aspetto dovrebbe essere preso in considerazione nel momento della spesa, e il circuito del commercio equo e solidale dà precise garanzie.

  • Le organizzazioni che aderiscono al commercio equo e solidale importano e diffondono i prodotti alimentari e i manufatti artigianali dell’emisfero Sud del mondo, pagando un prezzo giusto direttamente ai produttori, senza intermediari e senza speculazioni.
  • Il prezzo dei prodotti è deciso dagli stessi produttori in base ai costi reali di produzione, tenendo conto della necessità di raggiungere e mantenere un livello di vita dignitoso, con un margine per gli investimenti in nuovi progetti sociali.
  • I prodotti alimentari importati derivano da materie prime rinnovabili presenti in loco, e non incidono sulla produzione di derrate agricole primarie, destinate all’autoconsumo.
  • Il processo lavorativo, il trasporto e il consumo energetico vengono studiati anche dal punto di vista del loro impatto ambientale.

I pro e i contro delle botteghe equo-solidali

I “PRO”

  • Si contribuisce a una maggior giustizia sociale.
  • Si entra in contatto con culture che altrimenti sarebbe difficile conoscere
  • Si dà attenzione agli aspetti etici del consumo.

I “CONTRO”

  • La gamma dei prodotti è limitata.
  • Il prezzo è generalmente superiore a quello praticato nei normali canali commerciali.
  • I punti vendita possono essere distanti (anche se alcuni supermercati propongono anch’essi prodotti del circuito equo-solidale)

I farmers’ market

Nati in Nord America, i farmers’ Markets sono i mercati nei quali i contadini si recano in città a vendere direttamente i loro prodotti. La filiera più corta che ci sia: dal produttore al consumatore senza alcun intermediario.  Una formula che ha raccolto e sta raccogliendo molti consensi anche da noi, al punto che oggi in Italia sono attivi più di 6000 farmers’ markets. Coldiretti si è impegnata molto nella loro diffusione e Slow food ha fatto altrettanto, ma sono molte anche le iniziative spontanee locali (ne sono un esempio l’Associazione di Solidarietà per la Campagna Italiana – ASCI o il movimento Foro Contadino – Altragricoltura), spesso sostenute dalle amministrazioni comunali o anche da soggetti privati, come il Popogusto, famoso mercato a filiera corta milanese, organizzato da Radio Popolare.

I pro e i contro dei farmers’ market

I “PRO”

  • Il contatto diretto con il produttore permette di approfondire la conoscenza dei prodotti e di valutarne la qualità ben oltre i criteri del gusto.
  • I soldi che si spendono vanno quasi interamente a sostenere la fatica di chi produce.
  • Si contribuisce a tenere viva la tradizione di qualità e il valore delle piccole produzioni artigianali che non riscuotono l’interesse della grande distribuzione
  • Si possono acquistare prodotti che non si troverebbero mai nei normali circuiti commerciali.

I “CONTRO”

  • La gamma dei prodotti è anche in questo caso limitata.
  • Il prezzo è generalmente superiore a quello praticato nei normali canali commerciali.
  • Si è legati alla periodicità del mercato (per alcuni è quindicinale) e alla sua logistica, non sempre comodissima

La vendita diretta

Vicina come concetto a quella dei farmers’ market è la vendita diretta sul luogo di produzione: non sono i produttori a spostarsi ai mercati, ma è il consumatore che va ad acquistare “a casa loro”. Si calcola che siano oltre 63.500 in Italia gli spacci aperti nelle cascine, nei frantoi, nelle cantine, nelle malghe… e recarvisi a fare acquisti vuol dire anche in questo caso realizzare la filiera più corta possibile, all’insegna della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Se poi ci si vuole divertire, in alcune fattorie viene praticata anche la formula (peraltro da noi non molto diffusa) del pick-your-own, praticamente il “coglietelo da soli”: si va nei campi a cogliere direttamente i prodotti da acquistare. Un po’ di fatica, ma… tanta soddisfazione.

I pro e i contro della vendita diretta

I “PRO”

  • Il far la spesa diventa un’occasione di svago, si conoscono luoghi e realtà spesso affascinanti.
  • Si ha il massimo del controllo sulla qualità: si vede come vengono prodotti gli alimenti, che sono freschissimi.
  • I soldi che si spendono vanno interamente a sostenere la fatica di chi produce.
  • Si favorisce l’economia locale.
  • Si contribuisce anche in questo caso a tenere viva la tradizione di qualità e il valore delle piccole produzioni artigianali che non riscuotono l’interesse della grande distribuzione.
  • Si possono acquistare prodotti che non si troverebbero mai nei normali circuiti commerciali.
  • In genere si risparmia rispetto ad acquistare gli stessi prodotti al mercato.

I “CONTRO”

  • La gamma dei prodotti è sempre limitata.
  • Ovviamente ci si deve accollare il viaggio (e le relative spese) per raggiungere il punto vendita

I mercati agricoli online

Se con i farmers’ market sono i produttori a muoversi e con la vendita diretta si muovono i consumatori, esiste anche la possibilità che a spostarsi siano solo i prodotti: i mercati agricoli on-line offrono la possibilità di acquistare a filiera corta senza uscire di casa, ricevendo i prodotti a domicilio. Nonostante l’on-line alimentare copra ancora una quota molto bassa del mercato, si tratta comunque di una formula interessante, al punto che persino il gigante Amazon la sta sperimentando. Rimanendo in tema di filiera corta con produttori vicini, sono altri i siti di riferimento. Il primo mercato agricolo online è stato Cortilia (www.cortilia.it) che permette di acquistare via Internet prodotti freschi, artigianali e di stagione, lavorati in modo sostenibile da aziende agricole selezionate. Un’altra realtà interessante è Bioexpress, costituita da un gruppo di produttori che ha fatto rete per accelerare la commercializzazione diretta di frutta e verdure biologiche. Serve ormai parecchie zone: Milano e hinterland, ma anche parte del Veneto, del Friuli Venezia Giulia, del Piemonte, dell’Emilia Romagna e di Roma.

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