AUTOSVEZZAMENTO: FACCIAMO IL PUNTO


Lasciare i bambini liberi di guidare la loro alimentazione nel delicato passaggio dal latte della mamma ai cibi solidi. Secondo i sostenitori dell’”autosvezzamento”, sarebbe il modo migliore per prevenire sovrappeso e obesità e favorire lo sviluppo di abitudini alimentari più sane. Ma è proprio così?…

Autosvezzamento: facciamo il punto

4… 5… 6… Via! Si parte all’avventura! Dopo sei mesi di tranquillità, col piccolo beato a succhiare il latte materno e la mamma felice di non dover pensare al suo menu, ecco per entrambi una piccola-grande rivoluzione. Il cucchiaio si alterna al seno, compaiono nuovi sapori, nuove consistenze e anche… tanti dubbi. Mangerà abbastanza? Assumerà tutto quello di cui ha bisogno per crescere sano? Il sale sì o no? Avrà bisogno anche di bere?… Che ansia! E la tentazione allora diventa forte: perché non lasciare che faccia tutto lui? Perché non metterci un po’ da parte e lasciare libero il nostro bimbo di decidere della propria alimentazione? Del resto, non fanno così anche gli animali?

Un’idea affascinante

In effetti, l’idea che i bimbi piccoli, lasciati liberi di mangiare quello che vogliono, siano capaci di regolarsi da soli nel modo migliore è decisamente tranquillizzante, ed è il principio fondamentale che è alla base della cosiddetta “alimentazione complementare a richiesta”, o più semplicemente “autosvezzamento”. Le regole per attuarlo sono semplici: trascorsi i sei mesi di allattamento esclusivo al seno, come suggerito dall’OMS, il bimbo condivide la tavola con i genitori (sul seggiolone o in braccio), che interpretano e assecondano le sue richieste quando si sforza di raggiungere con le mani un alimento oppure se ne dimostra attratto e incuriosito con lo sguardo, lasciandolo libero di mangiare cosa e quanto vuole.

Un’idea che si applica in forme diverse nel nostro paese rispetto a quelli anglosassoni: se da noi il focus principale è sulla qualità dei cibi (non differiscono sostanzialmente da quelli degli adulti, ma possono essere sminuzzati e triturati, nonché proposti con le posate, anche imboccando il piccolo), per gli anglosassoni, dove anziché di “alimentazione complementare a richiesta” si parla di “baby-led weaning” (BLW, letteralmente “svezzamento guidato dal bambino”) si insiste sul fatto che al piccolo non vadano proposte le pappe al cucchiaio ma lo si lasci subito autonomo nel portare alla bocca con le mani il cibo solido, in modo da averne un’esperienza completa  (gli alimenti possano al massimo essere modificati nella forma per facilitarne la presa, per esempio tagliandoli a striscioline). In un caso e nell’altro, una regola importante è quella di non insistere con le proposte di assaggio quando il bambino smette di chiederle spontaneamente, così come si suggerisce di non cambiare i ritmi e la durata dei pasti familiari, ai quali il piccolo si adeguerà naturalmente prendendo senza sforzo il loro ritmo. Ancora, l’autosvezzamento prevede sempre che l’allattamento materno prosegua a richiesta, per tutto il tempo in cui la mamma e il bambino saranno d’accordo nel continuarlo.

È evidente che, data la sua ideale semplicità, a sostegno dell’alimentazione complementare a richiesta venga prima di tutto la possibilità di vivere il momento dei pasti in modo meno faticoso e più rilassato. Non è poco, ma vista la crescente importanza riconosciuta all’alimentazione nei primi 1000 giorni di vita, viene da chiedersi se questa modalità di condurre lo svezzamento sia pienamente adeguata anche sotto il profilo nutrizionale. E qui di certezze non si può proprio parlare, anzi…

Gli studi a favore degli anni scorsi

Se andiamo indietro anche solo di pochi anni, vediamo come alla crescente popolarità dell’autosvezzamento abbiano contribuito proprio alcuni studi scientifici che lo indicavano come protettivo nei confronti del rischio di sovrappeso infantile, il problema più rilevante con il quale ci troviamo a fare oggi i conti. Nel 2012, il prestigioso British Medical Journal pubblicò una ricerca che evidenziava come i bambini che seguivano l’autosvezzamento avevano un più basso BMI (Body Mass Index, è l’indice che valuta l’adeguatezza del peso corporeo: più è alto e più si tende al sovrappeso), e in tempi ancora più recenti, nel 2015, l’autorevole rivista Pediatric Obesity ribadiva la validità del mangiare liberamente da soli con le mani, evidenziando che i bambini alimentati per lungo tempo «a cucchiate» di pappe e creme erano spesso ipernutriti. Anche sul piano dello sviluppo della personalità ci sono state prese di posizione a favore dell’autosvezzamento, da parte di psicologi che hanno evidenziato come possa costituire anche un buon modo per sviluppare l’autonomia dei bimbi, migliorando la fiducia in loro stessi e nel cibo.

I dubbi di oggi

A distanza di pochi anni dagli studi citati, a insinuare più di un dubbio sulla validità dell’autosvezzamento viene però un nuovo studio svolto in Nuova Zelanda e pubblicato su Jama Pediatrics, giornale considerato tra i più rigorosi al mondo.  Con lo scopo di verificare i vantaggi dell’autosvezzamento sul piano della salute alimentare, le autrici, Anne-Louise M. Heath e Rachael W. Taylor dell’Università di Otago a Dunedin, hanno reclutato 206 mamme in attesa e le hanno poi divise in due gruppi: il primo è stato invitato a seguire l’autosvezzamento una volta raggiunti i sei mesi d’età del piccolo, l’altro gruppo invece ha seguito lo svezzamento “normale”. I piccoli sono stati sottoposti poi a specifiche osservazioni fino ai due anni di età, in modo da capire se l’autosvezzamento potesse ridurre davvero il rischio di sovrappeso, ma alla fine… non è stata riscontrata nessuna differenza: i bimbi “autosvezzati” hanno mostrato le stesse probabilità di risultare in sovrappeso evidenziate da quelli alimentati a pappe con il cucchiaio.

Peraltro, spinti anche dall’evidenza che il bambino non può essere considerato un “piccolo adulto” e che le sue necessità alimentari differiscono sensibilmente da quelle dei grandi, recentemente si è anche andati a una revisione critica degli studi che avevano dato maggior impulso alla diffusione dell’autosvezzamento. Colpisce a questo proposito che Gill Rapley, paladina del BLW anglosassone, abbia fondato inizialmente le sue teorie sull’osservazione di appena 5 lattanti, peraltro particolari per la curiosità che mostravano nei confronti del cibo e per la loro capacità di afferrarlo e portarlo alla bocca quando veniva offerto loro a pezzetti durante il pasto in famiglia. Anche il citato studio pubblicato nel 2012 sul British Medical Journal è stato oggi giudicato poco attendibile per una serie di errori di impostazione, mentre appaiono fondati i risultati di uno studio neozelandese, pubblicato nel maggio del 2016 dallo stesso giornale, nel quale, oltre a constatare che l’autosvezzamento non aiuta a introdurre meno calorie, si evidenzia come i neonati svezzati BLW sembrino consumare più grassi totali e saturi, e meno ferro, zinco e vitamina B12, tutti fattori di crescita indispensabili.

Il rischio di soffocamento

Al di là delle perplessità sul piano della nutrizione, c’è poi da considerare il rischio di soffocamento che secondo alcuni studiosi si può associare alla pratica dell’autosvezzamento. Una delle idee di base che sostengono in particolare il BLW è che, lasciando che sia il piccolo ad afferrare il cibo e a portarselo alla bocca, lo si proteggerebbe dal rischio che la mamma lo costringa a ingurgitare cucchiaiate di pappa oltre il suo effettivo bisogno, col rischio di alterare il senso della sazietà. C’è però da considerare il fatto che la masticazione è un esercizio difficile, che richiede tempo per essere appreso e che molti bambini a sei mesi non sono ancora in grado di eseguire. Si tratta infatti di imparare a utilizzare i denti e le gengive per macinare e triturare gli alimenti, e a coordinare i movimenti della lingua e della mandibola per muoverli in bocca, impastarli con la saliva, e alla fine deglutirli. Per dare un’idea, è dimostrato che la maggior parte dei bambini imparano a spostare lateralmente gli alimenti in bocca solo verso i 10 mesi e che la piena capacità di masticare, con la mandibola che riesce anche a compiere movimenti laterali, si raggiunge in media tra i 24 e i 30 mesi.

Lo svezzamento “normale”, prevedendo la proposta iniziale di pappe fluide e poi via via più dense sino ad arrivare agli alimenti solidi, si fonda proprio sull’idea di accompagnare i bambini ad acquisire naturalmente una sempre maggiore padronanza della masticazione, mentre, al contrario, i sostenitori del BLW ritengono che la brusca e precoce introduzione di cibi solidi e complessi da masticare (come la frutta croccante, la carne o la verdura cruda) sia di stimolo per un apprendimento rapido, vantaggioso per lo sviluppo di ossa e muscoli.

Ora, se non è certo positivo prolungare troppo la somministrazione esclusiva di creme, frullati o comunque alimenti dalla consistenza morbida, c’è da chiedersi se l’atteggiamento opposto di proporre già a 6 mesi alimenti impegnativi da masticare non possa esporre i lattanti anche a un rischio di soffocamento. Una risposta è arrivata sempre dalla Nuova Zelanda, dove evidentemente hanno molto a cuore la questione dell’autosvezzamento: monitorando un considerevole numero di bambini a BLW, l’equipe della dottoressa Sonya L. Cameron ha rilevato come ben il 30% dei piccoli avesse presentato almeno un episodio di soffocamento. Una percentuale così alta che la stessa Cameron è arrivata a sostituire l’idea del “baby-led weaning” con quella del “baby-led introduction to solids” (BLISS, “introduzione all’alimentazione solida guidata dal bambino”). BLISS mantiene sostanzialmente i principi del BLW, ma li affianca con una serie di istruzioni proprio per evitare il rischio di soffocamento.

E allora? Autosvezzamento sì o no?

In definitiva, allo stato attuale delle conoscenze, non sembra difficile trarre delle conclusioni, e sono basate sostanzialmente sul buon senso. Le più recenti evidenze scientifiche, infatti, dimostrano che:

  • non ci sono prove convincenti che in qualche modo l’autosvezzamento comporti benefici per i bambini, proteggendoli dal rischio di sovrappeso.
  • Non è vero che i bambini si sappiano regolare bene da soli, né nella scelta dei cibi, né nella quantità da consumarne.
  • Il profilo della dieta dei piccoli “autosvezzati” si è sinora rivelato nutrizionalmente meno valido di quello dei bimbi la cui alimentazione complementare preveda la proposta iniziale di prodotti a loro dedicati e specificamente studiati per le loro esigenze, per poi passare gradualmente a un’alimentazione “adulta”.
  • La pratica dell’autosvezzamento può comportare un maggior rischio di soffocamento alimentare.

con questi presupposti, è evidente che l’autosvezzamento non possa essere consigliato come la modalità migliore da seguire per tutti i bambini. Del resto, oggi la scienza della nutrizione ha individuato con precisione le necessità di un organismo in crescita, e il panorama dei prodotti destinati alla prima infanzia offre la possibilità di scegliere davvero il meglio per la salute dei piccoli: non tenere conto di questa realtà è poco ragionevole.

Peraltro, al di là degli aspetti nutrizionali, non c’è dubbio che il modo di condurre lo svezzamento abbia comunque un’importanza determinante sotto il profilo psicologico e della relazione affettiva, ed è su questi aspetti che è importante si concentri anche l’azione del pediatra, il solo titolato a supportare la mamma nel vincere le sue ansie e le sue paure (assolutamente comprensibili) e ad aiutare i genitori a entrare sempre più in sintonia con le richieste del loro bimbo, per garantire davvero la sua migliore salute, ora e nella vita adulta.

Per saperne di più

Basta digitare la parola “autosvezzamento” su Google per vedersi restituire in meno di due decimi di secondo più di 200.000 risultati… Ne parlano tutti e c’è veramente di tutto: proclami, regole, ricette, storie affascinanti, testimonianze di vita vissuta più o meno veritiere, community, forum, denunce, polemiche. È un fatto che, purtroppo, sul WEB la verità scientifica sia sempre più spesso trattata come una semplice opinione, anziché come il frutto di ricerche e studi seri e impegnativi, ed ecco allora alcuni riferimenti istituzionali certamente qualificati per chi volesse approfondire l’argomento.

http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=52531
www.giornalesigenp.it/wp-content/uploads/…/04_PEDIATRIC-NUTRITION-1.pdf
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2520_allegato.pdf
https://www.unicef.it/Allegati/Raccomandazioni_UE_alimentazione_lattanti.pdf

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